La tensione fra la logica aristotelica e il concetto “necessità”

1. La natura del pensiero

Santo Agostino aveva ragione:

– „Non è il pensare che crea la verità, esso solo la scopre: la verità esiste quindi “in se” anche prima che sia scoperta”.

Ma che cosa c'è affatto la verità, da dove viene e come?

La tesi

– il mondo in cui viviamo è indipendente dalla conoscenza –

non vale più secondo la teoria quantistica:

– il mondo in cui viviamo dipende non solo dell'esterno alla nostra mente ma dipende anche dell'interno della nostra mente.

Il osservatore non può evitare il fatto: l'atto della osservazione (= come l'atto del suo pensiero) cambia il contenuto della struttura osservata. Lui riceve immediatamente una risposta del pensiero con la sede nell'esterno. Stupido? No! Il contenuto del messaggio è chiaro e pieno del senso: la reazione sull'osservazione dimostra un eco pensante che sarebbe impossibile senza l'avvenimento del ragionamento sul fondo della natura. In altri termini: il osservatore è senza interruzione osservato. E nessuno possa sapere come si comportano le cose quando non le si osserva.

La convinzione che la realtà esterna esiste indipendente della mente appartiene in tal modo al passato. Perché l'esperimento di fisica conferma: una risposta pensante alla chiamata pensante esiste senza dubbio.

Cosi è chiaro!

La totalità delle cose dal mondo della fisica (= ”per se”) e dal mondo mentale (= ”per se”) è composta ovviamente da tre livelli della realtà (= le prime due cercano la terza come la possibilità di connessione fra loro):

– il piano materiale (= la realtà della fisica) –

– il piano ontologico (= il fondamento degli enti per l'apparizione della materia da un lato e il funzionamento della ragione dall'altra parte) –

– il piano mentale (= la realtà della ragione dove tutti gli enti ontologici possono essere pensati).

La domanda essenziale cerca adesso la spiegazione: da dove viene la disunione? Esiste solo la una possibilità tipica dell'uomo: egli volesse conquistar la verità mediante la condizione della conoscenza andando verso l'identità dei avvenimenti ontologici con la mentalità nell'essere necessario. Cosi nasce la descrizione

– il sviluppo dei processi ontologici = il flusso della comprensione mentale –

oppure

– ciò per mezzo del quale si conosce (= l'id quo cognoscitur) = ciò che è conosciuto (= l'id quod cognoscitur) –

dove la relazione

– l'idea ontologica (= hardware) = il pensiero mentale (= software) –

rappresenta l'unione via l'identità nello stato necessario e la disunione via l'equazione nello stato contingente (= con la possibilità del uguagliamento).

Tutto è detto nel senso

– l'idea “in se” è l'essere ontologico come il pensiero “ex se”

e

– il pensiero “in se” è l'essere mentale come l'idea “ex se”.

Per esempio:

il giudizio

– l'idea con il contenuto “un essere mentale esiste in me” implica immediatamente il pensiero con il contenuto “un essere ontologico esiste in me” –

descrive il mio stato mentale “io sento che Dio esiste in me”. Sono sicuro? Si! Tutti i segreti della vita si svegliano di se stessi. E non per caso!

Allora: l'avvenimento

– il peccato originale –

era l'errore fatale della ragione derivata dalla condizione della conoscenza (= riservata solo per l'essere necessario del Creatore). Cosi è nata la contingenza come il simbolo per il divorzio umano colla necessità divina. Qui era nello stesso tempo la fine della logica divina e tutto fu già preparato per la nascita della logica di Aristotele. Lui si occupa con il funzionamento della ragione mediante le leggi del pensiero, espresso attraverso la struttura del ragionamento nel discorso. Tutto è basato sulla realtà delle cose portando in se gli enti dei concetti per tutti oggetti nel discorso. Dopo l'unione dei concetti emergono le proposizioni per il scopo chiamato il sillogismo. Si tratta di una forma di ragionamento deduttivo composto da tre proposizioni (= le due premesse implicano la conclusione con il peso: “vero” o “falso”). E giusto qui è la difficoltà:

– non c'è un sillogismo “vero” senza la possibilità della “verità” nel campo di contingenza.

Di che possiamo dubitare? Ci resta sulla disponibilità “corretto” o “scorretto”, “esatto” o “inesatto”, ma mai “vero” o “falso”. D'altra parte, “giusto” o “ingiusto” non appartengono alla logica (= mediante la ragione), ma alla psicologia (= mediante l'anima). Gli atti “pensare” (= la ragione) e “sentire” (= l'anima) cercano (= come incomparabili) l'atto dello spirito (= senza la comprensione) per essere “capiti e sentiti” nello stesso momento tra loro.

Aristotele ha fatto veramente tutto possibile alla contingenza. Ma l'incontro con la logica di Dio era già impossibile. Leggi primi, principi universali, tutto corretto e accetabile, ma una strategia basata sull'intuizione vale come un assunto senza speranza.

2. Origine della mentalità

Dal punto di vista della scienza è l'origine della vita o l'origine del genoma una domanda molto allontanata dall'ogni possibilità di ricostruire la struttura della mentalità. D'altro canto è la domanda filosofica semplice: tutto nasce da niente o da qualcosa? Lo stato della scienza suggerisce ovviamente la scelta “qualcosa”, non “niente”. Tutto chiaro: “niente” non esiste! Nostri sensi accettano immediatamente la presenza della materia. Ma nostri pensieri sono pieni di dubbi: cosa c'è la materia affatto? La tensione insopportabile! E la comprensione cerca un ponte! Indispensabilmente!

Newton e Leibniz hanno impostato il calcolo infinitesimale. Alla radice si trova il presupposto dell'infinita divisibilità dell'estensione finita. Il concetto “estensione finita” contiene “in se” l'essere della “materia” giusto nel posto dove la materia (= secondo la fisica) svanisce: ma li è anche necessariamente un oggetto mentale in cui, non la materia, ma l'essere della materia possa essere pensata. Sul fondo esiste cosi un oggetto con la capacità: esso può “essere capito” come “l'essere ontologico” della materia nella ragione.

Chi sono io? Non so verissimo! Perché? Sento paura: da dove vengo? Dal nulla? No! Non so niente di “nulla”! Mi pare chiaro: “nulla” non esiste. Allora: vengo di “qualcosa”. Perfetto: “qualcosa” esiste esatto come “non io”, ma con la capacità strana di confermare presto il giudizio “io esisto”. Senza dubbio!

Come? Si sente la presenza del segreto! Io sono ovviamente un essere di un senso profondo e sconosciuto senza l'evidenza del origine. Perciò ripeto

– “io esisto” e “io non esisto nel qualcosa” con la capacità “io esisto”.

Uscita nel senso “logicamente comprensibile” è pertanto possibile:

“io esisto”, ma “io non esisto” esiste come un “altro io esistente” in conformità nella quale si attesta una possibilità

– né “io” (= presente qui) né “non io” (= presente là) implica un “altro io” necessario.

L'idea “altro io” oppone certamente all'idea “solipsismo”. E possa essere la via verso la salute della purezza nel comprensione:

– l'uomo è l'oggetto dell'uomo!

Questa “logica” emerge facilmente come una “logica quantistica”. Perché? Un elettrone come la particella è descritta nello stesso tempo come l'onda di probabilità con il contenuto “dove si può un elettrone aspettare nel spazio”.

Allora: il giudizio generale

– l'elettrone appartiene esclusivamente alla fisica –

è scorretto perché

– l'elettrone (= come l'onda di probabilità) non appartiene categoricamente alla fisica.

Da qui segue:

– l'elettrone sul fondo come “né particella né onda” esiste come un oggetto “necessario” sotto la competenza ontologica (= che possa essere pensata) con l'implicazione “la ragione entra nel gioco”.

Ritorniamo adesso ancora una volta nel campo della logica aristotelica! Ci aspettano i principi di ogni ragionamento

– (i) principio di identità: A è uguale ad A –

– (ii) principio di non contraddizione: A non può essere contrario e uguale a B –

– (iii) principio del terzo escluso: A è B oppure non B.

Secondo la scoperta di Gödel, la “verità” nel giudizio “1=1” può essere né confermata né cancellata. E molto più: la possibilità “1 è non 1” è anche valida! Questo è una sorpresa totale? No! Perché? Chiaro: il principio (i) è scorretto alla contingenza (= perché esprime il criterio della necessità). Il numero 1 è esatamento quello che dice la definizione del numero 1. Ma tale definizione non esiste. Perché la definizione dei numeri è semplicemente assente. La difficoltà nella contingenza sorge cosi d'altro canto andando dalla domanda:

– il numero 1 si trova nella ragione = il numero 1 contiene l'ente mentale –

oppure

– il numero 1 si trova fuori della ragione = il numero 1 contiene l'ente ontologico?

Allora!

Giusto perciò emerge incertezza. Di cosa si tratta in fatto: cognitio o recognitio? Questa domanda tocca il mondo di contingenza, non il mondo di necessità. Viviamo nel mondo libero nella libertà regalata dopo il peccato originale. Il prezzo per peccato era lo stato di disunione. D'altro canto il mondo di necessità è carraterizzato con lo stato dell'unione senza bisogno di possedere la libertà. Tutto è ordinato alla fine:

– il numero 1 (= mentale) è immediatamente il numero 1 (= ontologico) e vice versa.

Tale conclusione vale per la contingenza visto dalla necessità. Ma come sembra il problema “numero” alla necessità? C'è un'altra cosa.

Il principio (ii) capisce tutto. Ma la finaltà nel ragionamento è raggiungibile: tutto è alle mani del principio (iii). Perché? Abbiamo il giudizio

– A è “mentale” oppure “non mentale” (id est = “ontologico”) –

senza appartenenza (= rispetto al problema “oppure”) alla contingenza. Dunque abbiamo

– A è lo stato “necessario” –

con il contenuto:

– un concetto (= contemporaneamente uno da due) “né cosa mentale (= il pensiero) né sostanza ontologica (= l'essere)” è “necessario” –

come la legge centrale nella logica divina

– due negazioni implicano lo stato della necessità.

Ripeto:

– lo stato “necessario” è composto come lo stato dell'unione U “uno da due (= mens U ens)”

da dove abbiamo

– lo stato “né vita né morte” è “necessario” come “ens habens in se rationem existentiae” –

oppure

– Dio è necessario come Uno (= mens est ens e vice versa) –

incluso un segreto senza spiegazione. Di cosa si tratta?

L'anima sente sempre senza ragionamento e la ragione comprende sempre senza sentimento. Dunque! Un essere come un “ponte” tra loro è necessario! Da qui segue:

– lo stato “né ragionamento né sentimento” è “necessario” sorge dal Spirito Santo come il spirito di “ponte”: la nostra personalità nasce giusto nella terra del spirito come un resultato della tensione fra la logica e la psicologia mediante una forza chiamata la convinzione. Questa forza porta bene e male come il nucleo del carattere nella libertà contingente.

Ma un'altra possibilità di essere può nascere alla mente come la creazione “nulla” sul posto di “sostanza”: in questo caso abbiamo

– lo stato “né cosa né nulla” è “necessario”

con il resultato

– il male può essere materializzato come un mostro reale.

Sogni d'oro possono adesso cominciare! La sfida si chiama “necessita”. Li si trova tutto senza limiti, incluso “noi” dopo la “morte”! Giusto cosi! Perché la morte figura come un inganno della mente: quello che esisteva possa mai non esistere!

3. La tensione fra l'epistéme e il solipsismo

Prima di tutto vorrei spiegare il mio comprensione del criticismo kantiano. Lui mostra che le cose in sé stesse non possono essere mai conosciute: l'opposizione tra certezza e verità è cosi definitiva: l'ordine delle rappresentazioni e l'ordine delle cose in sé stesse rimangono nello strumento conoscitivo più perfetto senza la connessione. Si! Questa è la realtà di contingenza. Kant ha detto tutto. Per quanto riguarda la relazione tra la contingenza e la necessità.

Ma l'idealismo opporsi:

– il concetto di “cosa in sé” è contradditorio.

Perché?

La “cosa in sé” è chiusa in sé e chiusa al conoscere. Ma nel concetto di “cosa in sé”, la cosa in sé è conosciuta. Essa non è chiusa cosi in sé e chiusa al conoscere, ma aperta al conoscere. Ciò è semplice: la cosa in sé pensata non può essere “in sé”.

L'obiezione dell'idealismo è corretto, ma non vale nella difesa del criticismo kantiano da parte mia (= Kant ha ragione):

– la verità è composta dalla vita (= essenzialità) e dalla morte (= sostanzialità) –

nel senso

– la “cosa in sé” è composta dalla cosa conosciuta (= mens) e dalla cosa sconosciuta (= ens) –

alla fine

– né materialismus e né idealismus –

ma

– dualismus (= Cartesius) –

era in fatto il culmine dell'epistéme prima del suo culmine storico (= Hegel)! E giusto nel culmine hegeliano era l'errore essenziale. Tutto comincia con la domanda: possiamo essere certi di cose vere e di cose false? No! La “certezza” è uno stato del pensare e la “verità” possa essere veramente uno stato delle cose. Ma “incertezza” mentale e “indeterminatezza” fisiche hanno distrutto tutto nel campo della teoria quantistica. Un punto di vista “indisputabile” spiega tutto. Cito:

“La certezza e la verità – ossia il pensiero e l'essere – sono due. Ma, quando il pensiero pensa l'essere, diviene uno con esso, cioè l'essere diviene il contenuto stesso del pensiero”.

Questo è senza dubbio ingegnoso. Ma questo giudizio appartiene alla necessità. E oggi crea un'altra domanda: che cos'è il sviluppo del pensiero nel tempo? Un “circolo vizioso” da Cartesius era più cauto. Cito:

“Il mio pensiero può essere sicuro di cogliere la realtà che è fuori di lui, solo se sa che Dio esiste; ma può sapere che Dio esiste, solo se è capace di cogliere la realtà che è fuori di lui”.

Questo pensiero oltrepassa il tempo con il contenuto: la pura trascendenza. Un esempio perciò è il decadimento radioattivo spontaneo. La proprietà degli elementi chimici di disintegrarsi spontaneamente è l'avvenimento incondizionato. Ma non ignora il flusso del tempo: il tempo di dimezzamento è precisamente dato per ogni elemento radioattivo. Come mai? Vi sono alcune leggi fisiche. Resta solo una possibilità: la probabilità del avvenimento “sa in sé” è lo scopo della trascendenza senza le leggi fisiche per la spiegazione! Questa strana “spontaneita” conferma da sé: le leggi della trascendenza esistono e sono più forti che tutto conosciuto alla fisica. Le descrizioni della sostanzialità ontologica e l'essenzialità mentale sono spesso molto allontanati uno dall'altro. Hubert Reeves nella sua “L'evoluzione cosmica” cerca la risposta:

“Da dove vengono le leggi della fisica? La loro stessa esistenza è profondamente misteriosa. Quale potenza occulta ordina alle cariche elettriche di attrarsi o di respingersi?

Su quali tavole di pietra sono incise le modalità di interazione delle particelle elementari? Mach ha sollevato forse un angolo del velo. La “forza” che orienta il piano di oscillazione nasce da un'azione “globale” dell'universo sulla realtà “locale” del pendolo. Lo stesso schema si applica forse a tutte le forze della fisica. L'intuizione di Mach diventa un programma, un procedimento nuovo da seguire … “

Ogni fenomeno locale dipende di tutta la storia dell'universo.

Come stabilire la connessione fra la profondità filosofica dal passato e il raggiungimento del pensiero moderno? L'idea di Cartesio “il mondo è possibile un sonno puro” e l'idea di Eddington “tutto nel mondo esterno possa essere l'interpretazione dei sensi umani” sono cosi vicine …

Si! Si! Dio è il solitario! Nient'altro è comparabile con Lui! La Sua offerta all'uomo era onesta: Dio resta il padrone della conoscenza senza la libertà nella necessità e l'uomo diventa il nuovo padrone della libertà avendo sulla disposizione tutta la conoscenza senza la condizione della conoscenza. Sfortunatamente inaccettabile per l'uomo: egli volesse anche il possesso della proprietà intransitiva (= la conoscenza della conoscenza) già presente nell'essere necessario di Dio. Lo stato “contingenza” come la sventura dell'umanità è in tal modo solo una conseguenza della stupidità umana (= il peccato originale) e si trova indubitabile in nessuna relazione con l'attività divina. Siamo maledetti da noi stessi.

Nostri rappresentazioni non possono essere nient'altro ma l'oggetti ontologici. Sono libero di dubitare che la materia “esista”. In questo caso il verbo “esistere” significa: la materia è al di fuori della mente. D'altro canto, la materia esiste immediatamente, anche indubitabilmente, come il contenuto della mente: l'essere “soggettivo” capisce la materia via l'essere “oggettivo” (= ontologico) della materia.

Dio è solo (= ipse) come l'espressione del Tutto: l'essere interno e l'essere esterno sono lo stesso ente (= la certezza e la verità sono lo stesso) divino. L'uomo, come il risultato del divorzio tra gli esseri interni e esterni, si trova nel altra posizione: lui non può esistere senza la sua ombra propria alla presenza nel un altro uomo ontologicamente precedente nell'ordine ontologica.

Dunque!

Non ho bisogno dell'aiuto da parte di Cartesio: lui risolve il problema appellandosi a Dio! Mi basta il destino degli uomini alla contingenza.

Concludiamo!

La mente non può trovare il senso della esistenza senza un ente, ma anche questo ente non può essere mai ordinato senza la mente:

– di conseguenza, si espongono i due avvenimenti come un avvenimento “necessario” con il contenuto “essenzialità (= la mente) e sostanzialità (= l'ente)”.

Tutti siamo cosi solo poveri oggetti nel gioco divino chiamato anche “tutto si paga”. “Grande” uomo? Si! Per divertimento! L'acqua santa: riso e lacrime!

4. “Trascendenza” come l'ostacolo

Imposto una domanda: che cosa possiamo affatto dire de la Logica trascendentale? Per Kant essa è il contenuto della conoscenza mediante la quale emergono rappresentazioni con la validità “il sapere a priori”. Mi sono poco d'altro parere! Perché? Il termine “trascendenza” rifiuta ogni possibilità del sapere. Con il quale argomento?

Imposto un'altra domanda: esiste un “pensiero” senza la possibilità di essere l'oggetto della ragione? Ovviamente si! Giusto il questo fatto giustifica il senso “trascendenza”. Di qua è chiaro: sul punto di vista dalla contingenza vale a dire

– il contenuto della conoscenza “trascendentale” è precisamente la conoscenza “perduta”.

La vista è chiara:

– il contenuto della conoscenza “possibile” è la negazione della conoscenza “perduta” –

e

– il contenuto della conoscenza “perduta” è la negazione della conoscenza “possibile” –

perché

– la conoscenza “perduta” e la conoscenza “possibile” formano la conoscenza “totale”.

Cosi vale:

– la conoscenza “totale” è Tutto” –

con il contenuto

– la conoscenza “transcendentale” e la conoscenza “possibile” –

oppure

– la negazione della conoscenza “possibile” e la negazione della conoscenza “perduta” –

costituisce la conoscenza necessaria.

L'ideologia “due negazioni risultano immediatamente con la necessità” è cosi confermata di nuovo.

Andiamo avanti con la domanda:

– che cosa esiste come la conoscenza della conoscenza divina?

Ovviamente si tratta della coscienza divina con il contenuto “la coscienza possibile e la coscienza perduta”:

– la coscienza umana è la incoscienza umana appartengono alla logica aristotelica nella contingenza secondo il principio “terzo escluso”.

D'altro canto la logica divina dice

– lo stato “né la coscienza umana né la incoscienza umana” implica la terza coscienza sotto la conoscenza come lo stato “necessario”.

Ma dove si trova? Eppure chiaro:

– essa è la subcoscienza nel uomo come la coscienza “perduta”!

La traccia dell'attività divina è cosi presente alla contingenza e non si può evitare: l'uomo sa spesso qualcosa nell'assenza di coscienza.

Addietro è Kant! Terribile! Ma per fortuna:

Santo Agostino offre il cuore!

Con il spirito di Santo Agostino resto fidato alla filosofia di Kant: tutto che posso capire nella contingenza appartiene al suo pensiero. Kant ha mostrato che l'opposizione tra certezza e verità deve essere definitiva. Non nel modo “fare l'epistéme”, ma nel modo “mostrare che la conoscibilità della verità deve essere esclusa dalla realtà contingente”. La confutazione della prova dell'esistenza di Dio mediante la ragione era spontanea dopo la scoperta

– la copula “è” non è il predicato dell'esistenza.

Questa scoperta era dolorosa:

– nostre lingue contengono in sé un conflitto con la logica.

Cosi ancora una volta Kant aveva ragione:

– la prova ontologica è senza valore!

Si!

Siamo limitati e lungi viaggi sono impossibili. Bene! Ma dopo tutto Kant ha dimenticato: il contenuto della prova ontologica dipende del argomento epistemologico

– la prova epistemologica è un'altra cosa.

Mio atteggiamento è semplice:

– non mi interessa più

“la prova dell'esistenza di Dio”,

ma

“la prova dell'esistenza di necessità divina”.

Questa scelta suona legittimo perché vivo nel buio e vorrei sapere: perche? La mancanza di luce (= come la mancanza della conoscenza) aiutami a uscire dal buio e trovar la luce. Solo in tal modo posso scoprire: l'origine della luce è fuori del buio. E la luce (= la conoscienza) da fuori aiutami capire come si vede (= pensa) nel buio. Cosi sono raggiunto mio scopo “come si possa sapere (= vedere al buio) e pensare sulla realtà piena della luce (= necessità) fuori?”

Kant ha dovuto rifiutare la spiegazione dell'origine della conoscenza non vedendo sulla terra della contingenza come funziona la causa necessaria della conoscenza.

Ma la sua prova morale resta per me indisputabile e dopo tutto senza obiezione. Tutto ciò è la parte della coscienza nella conoscenza possibile alla contingenza. E giusto perciò la ultima parola appartiene a Kant:

“L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di esse non dipende di difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo è il motto dell'illuminismo”.



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